Michele Di Sivo, storico e archivista di Stato, presenta le carte del processo per lo stupro di Artemisia Gentileschi, intentato dal padre Orazio contro l’amico pittore Agostino Tassi dieci anni dopo l’accaduto.
Lo stuprum era secondo la giurisprudenza dell’epoca un rapporto sessuale con una donna vergine fuori dal matrimonio. Coperto inizialmente da una promessa di matrimonio, va a processo nel 1612 e dà luogo a una pletora di accertamenti sulle condizioni in cui era stato compiuto. Nell’interrogatorio, spinto fino ad includere un procedimento di tortura nei suoi confronti, Artemisia racconta nei minimi particolari cos’è avvenuto, ma aggiunge qualcosa che fa capire anche quanto fosse controverso il loro rapporto, nato da un atto di forza. Dice: «Io ebbi a fare con lui sempre amorevolmente». Il punto culminante è il confronto tra i due amanti, in cui Artemisia mostrando ad Agostino i tassilli, cioè i legni che le vengono stretti intorno alle mani, gli rivolge la frase divenuta poi celebre: «Questo è l’anello che mi volevi dare, questo m’hai dato». Il processo si concluse con la condanna all’esilio di Agostino Tassi ma in realtà all’esilio fu costretta Artemisia, mentre lui restò a Roma.