La Biblioteca Statale del Monumento Nazionale di Montecassino, come molte istituzioni religiose, svolse il compito della produzione e della conservazione della cultura scritta. Non era uno spazio aperto ma chiuso, destinato a custodire un patrimonio librario che era parte integrante del monastero come i terreni, gli edifici, gli arredi sacri.
Così vicina al cielo e tanto radicata in terra: è questa la prima impressione che si ha alzando lo sguardo verso l’Abbazia di Montecassino che sorge sulla sommità del colle omonimo. Una presenza austera ed imponente ma insieme magica per il fascino singolare delle cose che vengono da lontano e che sopravvivono alle umane fragilità. Fondata da San Benedetto nel 529 su quell’altura dove ancora erano visibili i resti di un tempio pagano ad Apollo, nella sua storia più che millenaria l’abbazia fu distrutta quattro volte, dagli uomini e dalla violenza della natura: pochi decenni dopo la sua costruzione dai longobardi; nel IX secolo dai saraceni; nel 1349 da un terremoto e infine durante l’ultima guerra da un’incursione aerea delle forze alleate che sembrò l’ultimo colpo, quello definitivo. In quel rigido e triste inverno del 1944, lo splendido organo settecentesco che bruciava sembrò il simbolo di una voce costretta al silenzio, ma l’abbazia ancora una volta riuscì a rinascere, come la quercia del suo stemma che abbattuta riprende vigore. Non è solo un luogo di fede Montecassino, ma un luogo di civiltà. Per secoli monaci solerti ed operosi lavorarono, affidando alla fragile carta l’umana memoria e facendo del cenobio e dello scriptorium un’unità inscindibile. Come avvertiva ancora nell’800 Luigi Tosti, monaco di Montecassino ma anche storico e patriota, tra queste antiche mura i monaci non trascorrevano la vita solo ad intonare salmi, a contemplare e ad eseguire lavori manuali, ma erano impegnati “a trasmettere all’avvenire i monumenti dell’antica scienza”. La biblioteca infatti nacque contestualmente all’abbazia e i monaci, oltre a raccogliersi in preghiera, si chinavano con infinita pazienza e abilità sui loro leggii per trascrivere gli autori del passato. Nell’esperienza monastica si erano affermati presto il principio della centralità della parola di Dio e insieme la consapevolezza che le profanae litterae erano un mezzo irrinunciabile per aiutare la comprensione della tradizione cristiana. Così accanto ai testi sacri e ai Padri della Chiesa, i monaci copiarono i tesori della classicità e inventarono anche una nuova scrittura, la celebre “beneventana” che, formatasi sul finire dell’VIII secolo per influenza di scribi provenienti dal nord, si diffuse rapidamente nei maggiori centri scrittori dell’Italia meridionale ed ebbe una vita lunga cinque secoli. Tante biblioteche italiane ed europee custodiscono codici preziosi che provengono da qui, perché l’Abbazia nel tempo si aprì ad alimentare un dialogo di civiltà attraverso il suo ricchissimo patrimonio librario, che ancora oggi conta 1500 codici, 2000 pergamene, 198 incunaboli, oltre 2000 cinquecentine e un ampio fondo musicale.
Francesca Romana de' Angelis